info@cameratributariabergamo.it Via Daniele Piccinini n. 2 - 24122 Bergamo

L’intelligenza artificiale e il concordato preventivo biennale. Uno sguardo al futuro: la fiscalità di massa e la tutela dei diritti individuali. di Avv. Michele Trovesi

  • Home
  • UncategorizedL’intelligenza artificiale e il concordato preventivo biennale. Uno sguardo al futuro: la fiscalità di massa e la tutela dei diritti individuali. di Avv. Michele Trovesi

L’intelligenza artificiale e il concordato preventivo biennale. Uno sguardo al futuro: la fiscalità di massa e la tutela dei diritti individuali. di Avv. Michele Trovesi

VIII CONGRESSO NAZIONALE UNCAT

4-5 APRILE 2025

RELAZIONE CONGRESSUALE

L’intelligenza artificiale e il concordato preventivo biennale. Uno sguardo al futuro: la fiscalità di massa e la tutela dei diritti individuali.

Parlando di intelligenza artificiale, pensare di dire qualcosa che non sia già stato detto o scritto è un’illusione, un’ingenuità perdonabile solo a chi ha poche primavere alle spalle.

Le probabilità di ripetere in forma di litania concetti già espressi da altri sono molto elevate. Tanto più se, come nel mio caso, si possiedono scarse conoscenze e – lo confesso – il moto di passione intellettuale per capirne i meccanismi di funzionamento non è dei più intensi.

Il tema è però vitale e così, confidando nella benevolenza di chi legge o ascolta, può valere la pena compiere un pudico tentativo di declinarne gli effetti in chiave giuridica. L’angolo prospettico del diritto riportato al centro dell’analisi, mettendo in secondo piano gli aspetti squisitamente informatici.

Non un’analisi sulla struttura di funzionamento dell’algoritmo che non sarei mai in grado di affrontare; piuttosto, senza alcuna pretesa di originalità, una breve riflessione sulla evoluzione delle situazioni soggettive.

Mi ispiro, in questo, a un saggio di recente scritto da una straordinaria interprete del diritto tributario come Valeria Mastroiacovo la quale, a sua volta, parlando di intelligenza artificiale, ha preso in presto un antico proverbio cinese: “quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito”.  La luna è la forma della tutela dei diritti nei prossimi decenni; il dito, con tutto il rispetto, è l’indagine tecnica sui criteri di inferenza e sui processi di apprendimento automatico.

Intendiamoci: è un dito per modo di dire perché tutti sappiamo quanto gli strumenti di machine learning siano l’architrave del mondo che verrà; è un dito, per l’appunto, nell’ottica del diritto e della sorte che lo attende di qui in avanti.

E allora, per guardare alla luna mi pare che il concordato preventivo biennale sia uno strumento ottico quasi perfetto, dando modo di gettare uno sguardo al futuro. Una sorta di cartina di tornasole per capire come in pochi lustri potrebbe mutare un sistema di principi che si è consolidato, se non prima, almeno dall’età dei lumi, tracciando un perimetro di valori intangibili a protezione della persona.

Un’analisi in forma embrionale, individuando solo gli snodi di partenza di un ragionamento che non intende abbandonarsi a un nichilismo fine a sé stesso; e che tuttavia non vuole rinunciare, per quel che serve, a lanciare un segnale di allarme, unendo la mia piccola voce a quella di una folta schiera di studiosi ben più autorevoli di me.          

Partiamo linearmente dall’inizio, ipotizzando una qualificazione sistematica del concordato preventivo biennale. 

Il dubbio che sorge immediatamente è se si sia in presenza di un istituto da inquadrare secondo schemi pubblicistici o se, piuttosto, non si delinei una fattispecie che resta estranea alle regole dell’istruttoria amministrativa. Un radicale sovvertimento dei criteri con cui abitualmente agiscono i pubblici poteri, uscendo dall’alveo del procedimento per adottare canoni operativi che ricordano da vicino quelli del diritto civile.

Non vi sono atti in senso proprio, non v’è contraddittorio e non vi sono provvedimenti impugnabili. Volendo guardare ancora più da vicino la figura, non vi è nemmeno unilateralità o imperatività dell’azione dal momento che la proposta che viene dall’amministrazione finanziaria può essere liberamente accettata o rifiutata dal contribuente. Difficile pensare anche all’archetipo dei provvedimenti negoziali di cui menziona la l. 241/1990, sia perché, pure in questo caso manca la fase di confronto tra le parti; e sia perché tali provvedimenti rimangono connotati in forma latamente autoritativa se è vero che avverso gli stessi può essere proposto ricorso nei termini di legge.

Mi sia consentito richiamare un altro autore i cui pensieri sono illuminanti e che, dogmaticamente, tiene la nostra materia su livelli alti; Alessandro Giovannini è dell’idea che la struttura del concordato preventivo biennale sia riconducile alla proposta con accettazione vincolante di cui agli artt. 1326 e ss. del Codice civile.

È un’idea – sempre timidamente – che mi sento di condividere proprio perché pone in luce un aspetto dirimente. Con il concordato preventivo biennale si esce dalla logica del diritto pubblico e con esso si abbandona il fascio di garanzie che accompagna il relativo procedimento a partire dal 1990.

Una nuova fisionomia che sembra preludere un salto quantico dell’azione amministrativa o, meglio, dell’azione impositiva. Non un binario dialettico che porta a un provvedimento; viceversa, una proposta elaborata senza alcuna forma di interlocuzione nonché avvalendosi di istruzioni informatiche più o meno accessibili ai destinatari.   

Il primo snodo è quindi definito, dando atto di un mutamento di linguaggio che è un drastico mutamento di paradigma; una vera e propria inversione degli schemi tradizionali di interazione tra Fisco e contribuente.

Impensabile non metterne a fuoco le conseguenze, alcune certe; altre per ora solo immaginate e si tratta esattamente di quelle che riguardano l’impatto dell’intelligenza artificiale “messa dentro” il concordato preventivo biennale.

Delle prime, implicitamente, si è già detto.

La sensazione è di una vera e propria rottura degli argini fondativi della materia, nel senso che si apre una sfera nella quale il rapporto tra cittadino e amministrazione finanziaria segue regole autonome; si crea uno iato rispetto alla restante parte dell’ordinamento, con una struttura di funzionamento che non ha nulla in comune con gli istituti del diritto tributario genericamente inteso.

Una <<enclave>>all’interno dell’assetto che rimane impermeabile ai principi che vigono altrove e che rende superflui vocaboli come partecipazione, contraddittorio, proporzionalità, motivazione. In breve, quelle del d.lgs. n. 13/2024 insieme a quelle del d.lgs. 108/2024 sono – a differenza di tutte le altre – norme intrinsecamente prive di relazione, creando un sistema nel sistema.   

Il secondo ordine di conseguenze entra nel cuore del problema, unendo idealmente queste nuove dinamiche giuridiche agli effetti di una proposta di accordo derivante dall’esercizio di funzioni algoritmiche.

La tesi di fondo, onde evitare fraintendimenti.

Nulla più del concordato preventivo biennale costituisce il terreno fertile per un processo decisionale interamente automatizzato, favorendo l’operatività di un software creato sulla base di arcane note metodologiche.

Vorrei essere chiaro a questo proposito e pertanto corro il rischio di ripetermi: il sovvertimento del modus operandi dei pubblici poteri di cui si è detto prima apre fisiologicamente la strada all’impiego di algoritmi predittivi che pongono il cittadino di fronte a una specie di imbalsamazione della realtà. Di quella fiscale e non solo, sacrificando i diritti di base dell’individuo sull’altare di una presunta efficienza.

Il passaggio dai canoni del diritto amministrativo all’utilizzo di istituti assimilabili a quelli del diritto civile sembra la premessa per lasciare campo libero all’avanzamento tecnologico, annullando qualsiasi forma di dialettica.

Le regole al servizio dello strumento e non lo strumento riportato dentro le regole, serbandone l’impianto assiologico. L’istruttoria filtra i processi decisionali dell’algoritmo e allora la si elimina, sottoponendo al contribuente unicamente il risultato finale.

L’amministrazione finanziaria non dialoga e non serve alcuna forma di potere condiviso, determinando, grazie all’informatica avanzata, la pesatura dei profili oggettivi e soggettivi dei singoli contribuenti; e da lì, determinando il quantum della corresponsione per ognuno, secondo schemi standardizzati che nulla hanno a che vedere con un procedimento amministrativo. 

Il quadro si cristallizza attraverso criteri di inferenza e di apprendimento automatico che variano di continuo, formulando una proposta che di fatto disarma il singolo. Un elenco analogo a quello di prima: la capacità contributiva, la giusta imposizione, la parità di trattamento divengono orpelli inutili perché ciò che importa è essenzialmente la rapidità della decisione.

Si contengono i costi, si riduce il conflitto e si massimizza (negli auspici) il gettito. L’equo riparto dell’obbligazione fiscale può essere lasciato ai trattati di diritto tributario perché nei fatti non interessa più a nessuno se non, appunto, agli accademici.   

Il grimaldello su cui si fa leva è la travolgente forza partica dell’algoritmo, compiendo un salto all’indietro o, forse, terribilmente in avanti; vi si ritornerà tra poco.

Le parole del Consiglio di Stato, pronunciate pensando al Regolamento europeo sulla legalità algoritmica (2016/679/UE), suonano come un monito; ovvero, segnano la siderale distanza tra un uso equilibrato dell’intelligenza artificiale e il concordato preventivo: “deve comunque esistere nel processo decisionale un contributo umano capace di controllare, validare ovvero smentire la decisione automatica”, soprattutto tenendo conto che “una volta introdotto un sistema automatico di decisione all’interno di un processo decisionale umano, il sistema automatico tende nel tempo a catturare la decisione stessa eminentemente per ragioni di convenienza pratica..”

E ancora più significativamente, gli stessi giudici di amministrativi hanno rimarcato come sia indispensabile che “il funzionario possa in qualsiasi momento intervenire per compiere interlocuzioni con il privato, per verificare a monte l’esattezza dei dati da elaborare, mantenendo il costante controllo del procedimento” (Consiglio di Stato, sent. n.881 del 04.02.2020; ma anche Consiglio di Stato sent. n. 6236 del 08.09.2022).

Il sillogismo di Aristotele ci aiuta: l’algoritmo predittivo è compatibile con il nostro sistema giuridico solo se prevede un’interlocuzione tra le parti e solo se, durante il procedimento, vi è la possibilità di correggerne gli esiti da parte del funzionario; il concordato preventivo è un istituto strutturalmente pensato senza procedimento e senza contraddittorio; indi, il concordato preventivo comprime irreversibilmente i diritti dell’individuo.

Questo è dunque il secondo tassello del ragionamento che mi auguro aiuti a intravedere la luna.

Lo sguardo va allargato ulteriormente.

Spero di non abusare delle citazioni e mi approprio di una delle meravigliose espressioni delle quali erano capaci i Maestri di un tempo. La morte del diritto cui alludeva Carnelutti agli inizi degli anni ’50 non pare essere mai stata così vicina.

La morte di tutto il diritto che porta ovviamente con sé la morte del diritto tributario.

Mi lascio andare a un esercizio di fantasia giuridica e tratteggio un quadro futuristico; una lieve forma di provocazione che, nel mio piccolo, spero aiuti il sistema a imboccare una strada diversa.

Sono personalmente convinto che l’idea guida sia quella di una funzione algoritmica destinata a svolgere la funzione che oggi è assegnata al diritto.

In altri termini, il desiderio di molti è che l’enclave di cui parlavo prima si allarghi progressivamente in vista di un duplice obiettivo.

Da una parte di soffocare il magma delle norme tributarie oscure, caotiche, stratificate nel tempo perché sempre adottate per gestire la contingenza e raramente con visioni di sistema.

Ossia, rimuovere il procedimento vuole dire scavalcare a piè pari un sistema disperso in mille rivoli e impossibile da ricondurre a unitarietà, ritenendo velleitario, sempre con somma deferenza, anche il tentativo in corso.

La sensazione è di una riforma fiscale che non riuscirà ad andare oltre aggiustamenti marginali ed è proprio per questo che, accanto alle grandi enunciazioni di principio, si è pensato a una soluzione operativa che ne rimane completamente fuori.

Viene definita un’orbita nella quale non entrano né i valori dello Statuto dei diritti del contribuente né l’art. 53 della Costituzione. 

La complessità della disciplina tributaria è gestita con la creazione di una linea parallela in cui valgono logiche diverse sia da un punto di vista materiale che, lo si è spiegato nelle pagine addietro, da un punto di vista giuridico.

In una parola, il concordato preventivo sembra aiutare a fare fronte a una situazione che, quanto a legislazione, è allo stremo.

Ancora più preoccupante il secondo obiettivo per come l’ho inteso io.

Una breve annotazione la si è fatta prima parlando di un accostamento non propriamente bilanciato tra salvaguardia dei diritti e spasmodica ricerca dell’efficienza. Andiamo oltre e proviamo a disegnare il diritto tributario del futuro secondo questo modello.

Il connubio tra algoritmo predittivo e concordato preventivo può essere l’anticamera non solo di un sistema incardinato su una gestione dei dati integralmente digitalizzati; ma anche di un sistema nel quale si privilegia largamente la finalità di una regolazione preventiva delle situazioni di potenziale conflitto, riducendo drasticamente il ruolo del diritto come presidio delle posizioni soggettive.

Si articola un risultato che, anche questo lo si è già accennato, comporta innumerevoli vantaggi da un punto di vista concreto: è intuitivo, fruibile, pone al riparo dai controlli e semplifica il rapporto impositivo.

Il tratto strutturale non è confinato al concordato preventivo, investendo le logiche di insieme dell’apparato fiscale. Si sta spingendo l’intero assetto verso meccanismi di funzionamento che eliminano sul nascere il conflitto e che lo sostituiscono con la immediatezza della soluzione che viene dagli strumenti tecnologici.

La praticità del rapporto sostituisce l’esigenza di tutela processuale che, evocando un panorama orwelliano, viene sempre più relegata ai margini dell’ordinamento tributario. La razionalizzazione all’insegna dell’efficienza informatica che riduce le scelte del singolo e che espelle il contenzioso come luogo di salvaguardia delle situazioni soggettive.

Il concetto è quello di prima: una nuova valenza che assegna all’algoritmo ciò che sin qui è stato attribuito al diritto nella sua dimensione sostanziale e processuale. La sfera giuridica individuale non più protetta dalle regole giuridiche ma dall’elaborazione digitale.   

Torno all’immagine dell’enclave, intesa come parte che si trova all’interno del nostro sistema impositivo.

Difficile prevedere se e in che misura questa piccola parte si espanderà; se e in che misura l’intelligenza artificiale ne consoliderà il funzionamento includendo progressivamente le aree giuridiche che la circondano e finendo con il diventare essa stessa – globalmente – il sistema tributario.

La mia idea è che, con il trascorrere del tempo, accadrà esattamente questo, lieto, in caso contrario, di essere smentito. 

Vedo davanti a noi una fiscalità di massa che non ha dentro di sé procedimenti, posizioni soggettive e atti motivati ma solo codici sorgente che schedulano i contribuenti, prescrivendo adempimenti pre-formati.

La chiosa è ineludibilmente amara: non credo che questo scenario, non troppo avveniristico, sia compatibile con il nostro stato di diritto, con il nostro sistema di garanzie costituzionali, con la nostra secolare tradizione giuridica.

Serve alzare la mano e dire che la direzione è sbagliata.

   Il Presidente della Camera Tributaria di Bergamo

                            Avv. Michele Trovesi  

leave a comment