La distinzione tra crediti inesistenti e crediti non spettanti tra vecchie e nuove regole, di avv. Marta Grimoldi Bruni
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La distinzione tra crediti inesistenti e crediti non spettanti tra vecchie e nuove regole, di avv. Marta Grimoldi Bruni
Le contestazioni di indebito utilizzo in compensazione dei crediti di imposta per ricerca e sviluppo di cui all’art. 3 D.L. 145/2013 hanno occupato e stanno occupando diversi Uffici dell’Amministrazione finanziaria e, conseguentemente, preoccupano i molti contribuenti che ne hanno usufruito negli ultimi anni, impegnando gli operatori del diritto tributario.
La fattispecie è di grande interesse e complessità e vi sono molteplici aspetti che presentano criticità che vedono contrapposti Fisco e contribuenti, anche in considerazione di una legislazione particolarmente generica e fumosa che si è prestata a ampi interventi interpretativi da parte dell’Amministrazione finanziaria.
Nel presente contributo ci si concentrerà sulla questione relativa alla distinzione tra credito inesistente e credito non spettante, che comporta importanti conseguenze, oltre che a livello sanzionatorio amministrativo e penale, anche in tema di termini di decadenza per l’esercizio dell’azione di recupero da parte dell’Agenzia delle Entrate.
Com’è noto, la disciplina sanzionatoria dell’indebita compensazione dei crediti di imposta è stata recentemente oggetto di riforma da parte del legislatore con il D.Lgs. n. 87 del 14.06.2024, tuttavia l’applicazione delle nuove norme è limitata alle violazioni commesse del 1 settembre 2024, pertanto è opportuno innanzitutto esaminare la previgente disciplina, che ci vedrà impegnati ancora per qualche tempo.
Si osserva, innanzitutto, come l’Amministrazione finanziaria, come specificatamente indicato nella Circolare n. 31/E del 23.12.2020, quando contesta che le attività o le spese sostenute non sono ammissibili al credito d’imposta ricerca e sviluppo, configura sempre un’ipotesi di utilizzo di un credito inesistente per carenza totale o parziale del presupposto costitutivo, con notifica dell’atto di recupero entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo in compensazione, non rilevando, secondo il predetto documento di prassi, l’esposizione del credito in dichiarazione annuale.
L’Agenzia delle Entrate tralascia, quindi, completamente di considerare l’ipotesi meno grave di violazione, ossia quella di utilizzo in compensazione di credito esistente ma non spettante, che pure può ben configurarsi anche nei casi di agevolazione per ricerca e sviluppo come si vedrà in seguito.
Le due tipologie di violazione sono disciplinate – per gli illeciti commessi sino al 31 agosto 2024 – dall’articolo 13 D.Lgs. 471/1997, come riformulato dal D.Lgs. 158/2015: nella versione ante riforma 2024, l’articolo 13, comma 4, del D.Lgs. 471/1997 prevedeva per i crediti esistenti ma non spettanti la sanzione del 30% del credito indebitamente usufruito; per l’ipotesi del credito inesistente il comma 5 della medesima norma prevedeva sanzioni in misura compresa tra il 100% e il 200% del credito e la non applicabilità della definizione agevolata prevista dagli articoli 16, comma 3, e 17, comma 2, del D.Lgs. n. 472/1997.
Secondo la previgente disciplina, è inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo, ossia quando la situazione giuridica creditoria non emerge dai dati contabili, patrimoniali o finanziari del contribuente, nonché la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli automatizzati o formali.
La giurisprudenza di legittimità aveva più volte disconosciuto la sussistenza di una distinzione tra le due tipologie non spettanza / inesistenza, anche dopo l’intervento legislativo del 2015[1]; finalmente, con le sentenze gemelle n. 34443, n. 34444 e n. 34445 del 16.11.2021 la Corte di Cassazione ha recepito la novità e stabilito che il precedente orientamento andava superato, sostenendo che nella stessa definizione positiva di credito inesistente può rinvenirsi la conferma della dignità della distinzione delle due categorie in discorso, perlatro già sulla base dell’originario impianto normativo concernente la riscossione dei crediti d’imposta indebitamente utilizzati.
In tal senso la Cassazione ha evidenziato che:
– l’art. 27, comma 16, D.L. n. 185 del 2008, concerne la sola riscossione di crediti inesistenti utilizzati in compensazione ai sensi dell’art. 17, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241;
– la novella del 2015 si innesta nella riscrittura della norma già contenuta nel contestualmente abrogato art. 27, comma 18, D.L. n. 185 del 2008 e mira quindi a specificare il contenuto del precetto originario.
La Suprema Corte ha, quindi, confermato che per considerare inesistente il credito devono ricorrere entrambi i requisiti, ossia:
a) la mancanza del presupposto costitutivo necessario per farlo sorgere, sicché il credito è stato indicato dal contribuente in maniera fraudolenta o comunque in base a una rappresentazione dei dati non reale e non veritiera;
b) l’impossibilità di riscontrare l’inesistenza del credito mediante le ordinarie attività di liquidazione e controllo, automatizzato o formale, delle dichiarazioni presentate dai contribuenti.
In sintesi, per poter qualificare un credito come inesistente è necessario che lo stesso sia ancorato ad una dimensione “non reale” o “non vera”, ossia priva di elementi giustificativi fenomenicamente apprezzabili, se non anche con connotazioni di fraudolenza, come pure può evincersi dal contenuto della Relazione illustrativa al D.L. n. 185 del 2008[2].
Il nuovo approccio ermeneutico è stato condiviso da Cass. n. 5243 del 20.02.2023 e definitivamente cristallizzato dalle Sezioni Unite Civili con la sentenza n. 34452 depositata il 11.12.2023, che ha ulteriormente precisato in quali casi si debba ritenere il credito inesistente, ossia quando ricorrono congiuntamente i seguenti requisiti:
a. il credito, in tutto o in parte, è il risultato di una condotta fraudolenta ovvero è carente dei presupposti costitutivi previsti dalla legge ovvero, pur sorto, è già estinto al momento del suo utilizzo;
b. l’inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui all’art. 36-bis DPR 600/73, all’art. 36-ter DPR 600/73 e all’art. 54-bis DPR 633/72.
Con riferimento al punto 1, i giudici specificano ulteriormente quali siano i parametri strutturali da considerare per ritenere esistente o meno un credito di imposta, ossia gli elementi idonei ad assumere natura costitutiva e quali, invece, abbiano carattere accessorio o riguardino la sola efficacia della pretesa. Nello specifico, si considerano elementi costitutivi del credito:
1. l’istanza del contribuente (es. indicazione nella dichiarazione dei redditi);
2. la previsione di obblighi di facere e/o di non facere (es. agevolazione prima casa e obbligo di trasferire la residenza);
3. l’indicazione di termini finali e di condizioni risolutive (es. agevolazione per il trasferimento di terreni edificabili e obbligo di edificare entro cinque anni).
Nel caso, quindi, sussistano i parametri strutturali richiesti per la specifica tipologia di credito, lo stesso non può definirsi inesistente[3].
Secondo i giudici, non è invece idonea ad incidere, ai fini del perfezionamento della fattispecie costitutiva, l’inosservanza di meri adempimenti procedurali o la previsione di soglie o limiti di valore.
La predetta pronuncia ha anche confermato che il termine di decadenza per il recupero è di otto anni ex art. 27 comma 16 D.L. 185/2008 solo per il credito inesistente.
Ebbene, alla luce delle norme e della giurisprudenza sopra esaminate, si può sostenere che nei casi in cui i costi sono stati effettivamente sostenuti ed è stata predisposta tutta la documentazione prescritta dalla legge al fine di comprovare le modalità di calcolo e l’effettività del credito d’imposta (certificazione del revisore comprovante i costi, relazione illustrativa dei progetti, fatture e contratti), non solo non può essere addebitato al contribuente alcun comportamento fraudolento, ma il credito non può definirsi inesistente.
L’eventuale contestazione dell’Amministrazione finanziaria in merito alla non configurabilità di attività di ricerca e sviluppo o di non ammissibilità delle spese potrà, quindi, avere ad oggetto l’indebita compensazione di un credito esistente ma non spettante, con importanti conseguenze – oltre che sul piano sanzionatorio – anche in relazione al termine di decadenza dell’azione accertatrice dell’Amministrazione finanziaria.
A tal proposito si rammenta che la Legge n. 311/2004, disciplinando gli atti di recupero dei crediti d’imposta, utilizzati per disconoscere crediti d’imposta indebitamente fruiti, ha previsto che i medesimi siano notificati al contribuente con le modalità previste dall’articolo 60 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973; stante la loro natura accertativa, gli avvisi di recupero dei crediti d’imposta relativi ai periodi di imposta a partire dal 2016 devono essere notificati entro i termini di decadenza di cui all’articolo 43 del DPR n. 600/73, ossia entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione.
Eccezionalmente, nella sola ipotesi di credito inesistente, l’Ufficio può usufruire, per la notifica dell’atto di recupero, del termine lungo previsto dall’articolo 27, comma 16, del D.L. n. 185/2008, norma che riguarda la specifica ipotesi degli avvisi di recupero emessi per contrastare l’indebito utilizzo in compensazione dei crediti qualificati appunto come inesistenti[4].
È, quindi, opportuno valutare, al momento della ricezione di un atto di recupero avente ad oggetto i crediti in questione, se nel caso specifico si tratti effettivamente di una fattispecie di credito inesistente o meno; gli atti emessi in violazione di tale distinzione, recepita anche dalla Corte di Cassazione, meritano quindi di essere censurati dal punto di vista formale con riferimento alla tardività dell’esercizio dell’azione amministrativa[5].
Si esamina, infine, anche la nuova disciplina sanzionatoria in vigore dal 29 giungo 2024 per le violazioni e, nello specifico, le indebite compensazioni compiute a partire dal 1 settembre 2024, che prevede che le definizioni di credito inesistente e non spettante siano mutuate dalla normativa penale.
Il nuovo articolo 13, comma 4, D.Lgs. 471/1997 prevede infatti che “Salvo quanto previsto dal comma 4-ter, si considerano inesistenti ovvero non spettanti i crediti rispettivamente previsti dall’articolo 1, comma 1, lettere g-quater) e g-quinquies) del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74”. Tali norme prevedono che:
– per crediti inesistenti, puniti con sanzione dal 70 al 210 per cento del credito utilizzato in compensazione, si intendono:
1) i crediti per i quali mancano, in tutto o in parte, i requisiti oggettivi o soggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento;
2) i crediti per i quali i requisiti oggettivi e soggettivi di cui al numero 1) sono oggetto di rappresentazioni fraudolente, attuate con documenti materialmente o ideologicamente falsi, simulazioni o artifici;
– per crediti non spettanti, puniti con sanzione pari al 25 per cento del credito utilizzato in compensazione, si intendono:
1) i crediti fruiti in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti ovvero, per la relativa eccedenza, quelli fruiti in misura superiore a quella stabilita dalle norme di riferimento;
2) i crediti che, pur in presenza dei requisiti soggettivi e oggettivi specificamente indicati nella disciplina normativa di riferimento, sono fondati su fatti non rientranti nella disciplina attributiva del credito per difetto di ulteriori elementi o particolari qualità richiesti ai fini del riconoscimento del credito;
3) i crediti utilizzati in difetto dei prescritti adempimenti amministrativi espressamente previsti a pena di decadenza[6].
Il termine per la notifica dell’atto impositivo è di cinque anni dall’anno successivo all’utilizzazione nel caso di crediti non spettanti (mediante avviso di accertamento) e di otto anni nel caso di crediti inesistenti (mediante atto di recupero).
E’, infine, prevista un’ipotesi di sanzione in misura fissa di € 250 per il caso in cui il credito è utilizzato in compensazione in difetto dei prescritti adempimenti amministrativi di carattere strumentale non previsti a pena di decadenza, qualora la violazione venga rimossa entro il termine di presentazione della dichiarazione annuale ai fini delle imposte sui redditi relativa all’anno di commissione della violazione, ovvero, in assenza di una dichiarazione, entro un anno dalla commissione della violazione medesima.
Dalla lettura della nuova normativa il confine tra le diverse violazioni di indebita compensazione dei crediti sembrerebbe essere meglio delineato rispetto al passato e meno soggetto ad interpretazioni; restiamo in attesa di vedere come gli uffici dell’Amministrazione finanziaria recepiranno le nuove norme e su quali punti si concentreranno le future – inevitabili – contrapposizioni contribuente / Fisco.
[1] Cass. n. 10112 del 21/04/2017 e Cass. n. 19237 del 02/08/2017; seguite poi da Cass. 24093 del 30/10/2020; Cass. n. 354 del 13/01/2021; Cass. n. 31859 del 05/11/2021.
[2] Cfr. anche Cass. n. 31429 del 25.10.2022.
[3] Il principio di diritto sancito dalla sentenza in esame è il seguente: “In tema di compensazione di crediti o eccedenze d’imposta da parte del contribuente, è applicabile la sanzione di cui all’art. 27, comma 18, D.L. n. 185 del 2008, vigente ratione temporis, ovvero, se più favorevole, quella prevista dall’art. 13, comma 5, D.Lgs. n. 471 del 1997 quando il credito utilizzato è inesistente, condizione che si realizza – alla luce anche dell’art. 13, comma 5, terzo periodo, D.Lgs. n. 471 del 1997, come modificato dal D.Lgs. n. 158 del 2015 – allorché ricorrano congiuntamente i seguenti requisiti: a) il credito, in tutto o in parte, è il risultato di una artificiosa rappresentazione ovvero è carente dei presupposti costitutivi previsti dalla legge ovvero, pur sorto, è già estinto al momento del suo utilizzo; b) l’inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter D.P.R. n. 600 del 1973 e all’art. 54-bis D.P.R. n. 633 del 1972; ove sussista il primo requisito ma l’inesistenza sia riscontrabile in sede di controllo formale o automatizzato, la compensazione indebita riguarda crediti non spettanti e si applicano le sanzioni previste dall’art. 13, comma 1, D.Lgs. n. 471 del 1997 ovvero dall’art. 13, comma 4, D.Lgs. n. 471 del 1997 come modificato dal D.Lgs. n. 158 del 2015 qualora ratione temporis applicabile”.
[4] Nello specifico, il citato articolo prevede: “Salvi i più ampi termini previsti dalla legge in caso di violazione che comporta l’obbligo di denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale per il reato previsto dall’articolo 10-quater, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, l’atto di cui all’articolo 1, comma 421, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, emesso a seguito del controllo degli importi a credito indicati nei modelli di pagamento unificato per la riscossione di crediti inesistenti utilizzati in compensazione ai sensi dell’articolo 17, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo”.
[5] La Corte di Giustizia Tributaria di II grado di Ancona con la sentenza n. 738 del 21.09.2023 ha ritenuto tardivo l’atto di recupero del credito di imposta non spettante notificato oltre l’ordinario termine decadenziale fissato dall’articolo 43 d.P.R. 600/73.
[6] Si applica la sanzione di duecentocinquanta euro quando il credito è utilizzato in compensazione in difetto dei prescritti adempimenti amministrativi di carattere strumentale, sempre che siano rispettante entrambe le seguenti condizioni: a) gli adempimenti non siano previsti a pena di decadenza; b) la violazione sia rimossa entro il termine di presentazione della dichiarazione annuale ai fini delle imposte sui redditi relativa all’anno di commissione della violazione, ovvero, in assenza di una dichiarazione, entro un anno dalla commissione della violazione medesima. In difetto di rimozione della violazione la sanzione è del 25%.
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