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Potere sanzionatorio ed onere della prova. di avv. Dario Moresco

Potere sanzionatorio ed onere della prova. di avv. Dario Moresco

Alcuni recenti interventi normativi in materia di onere della prova e di delega alla riforma del sistema tributario, mi spingono a sottoporre ai lettori di questo sito alcune considerazioni in merito al potere sanzionatorio spettante agli Enti impositori; potere che, allo stato, viene esercitato in via automatica, ma che, alla luce del sistema non appare scontato che possa essere così.

Innanzitutto, ritengo opportuno partire dal dato normativa che, a sensi del Dlgs 18.12.1997 n. 472, dal 1.1.1998, esclude che l’esercizio della funzione sanzionatoria possa svolgere, seppur implicitamente, anche una funzione di carattere risarcitorio.

Da quella data, infatti, la sanzione costituisce pretesa puramente afflittiva, priva di componenti di risarcitorie e/o indennitarie.

A ulteriore conforto di quanto appena affermato, aggiungo che il diritto armonizzato, nella sua più autorevole interpretazione – quella della Corte di Giustizia – tende ad escludere la legittimità di sanzioni in presenza di una intervenuta eliminazione del danno al bene giuridico, essendo il ristoro economico rimesso esclusivamente agli interessi di mora.[1]

Quindi, almeno in astratto, nel momento in cui l’Ente impositore pretenda di sanzionare un comportamento normativamente impedito, omettendo di dimostrare tutti i requisiti tipici che il Legislatore prevede per l’applicazione della sanzione, attiverebbe una pretesa atipica; ergo inammissibile.

Come evidenziato in Dottrina – considerata la c.d. “analogia ontologica” tra reato e illecito amministrativo”[2]: “Solo quei fatti storici che presentino almeno una concreta potenzialità lesiva nei confronti di un bene preesistente alla norma e dalla stessa riconosciuto meritevole di tutela e del quale è predicabile la giuridicità, sono penalmente incriminabili. La pena non può dunque essere irrogata nei confronti di un soggetto che non abbia – con la propria condotta arrecato un effettivo danno al bene giuridico tutelato o, quanto meno, lo abbia messo in concreto pericolo”.[3]

La lesione del bene giuridico protetto tramite sanzione, però, non si limita a richiedere una mera condotta oggettivamente riscontrabile; tale lesione richiede qualcosa di più: il compimento dell’azione per negligenza o con coscienza e volontà.

Il Legislatore del 1997, con l’inserimento dell’art. 5, ha espressamente escluso che un semplice comportamento inadempiente al dettato normativo possa costituire ex sé presupposto per l’irrogazione della sanzione.

L’art. 5, infatti, richiede la piena allegazione e dimostrazione anche di un elemento soggettivo caratterizzato perlomeno da colpa.

Continua a costituire, pertanto, almeno a mio avviso, una vera e propria anomalia di sistema la prassi dell’Agenzia[4] e degli stessi Giudici tributari di ricavare dalla semplice condotta illegittima una presunzione di colpa legittimante, senza ulteriore indagine, l’irrogazione di sanzioni, il più delle volte assolutamente sproporzionate rispetto al danno patito dall’Erario e rispetto alla negligenza imputabile al contribuente.[5]

Oggi tale presunzione risulta vieppiù insostenibile[6] a seguito della riforma di cui alla L. 31.8.2022 n. 130 che, introducendo il comma 5 bis nell’art. 7 Dlgs 31.12.1992 n. 546, ha onerato sempre e comunque l’Ente impositore dell’onere dimostrativo della propria pretesa,

Gli aspetti, però, che, a mio avviso, debbono essere ancora vagliati, attengono:

a)     alla qualità della prova che l’Ente impositore deve porre a fondamento della pretesa sanzionatoria;

b)     al regime di riscossione della sanzione medesima.

Come già rilevato dalla Dottrina più attenta, già prima della riforma di cui all’estate 2022, la natura che oramai unanimemente viene riconosciuta alla sanzione tributaria preclude – almeno per le finalità di cui sopra – un uguale trattamento tra credito di imposta e sanzione.[7]

Il punto di partenza per l’indagine de qua è costituito dalla natura meramente (e, aggiungo io, gravemente) afflittiva della sanzione tributaria; natura che, secondo la Giurisprudenza costante delle Corti europee e dei Giudici di legittimità implica una sua necessaria ricomprensione nel contesto delle sanzioni penali (almeno in termini sostanziali e non formali). Afferma la Dottrina:

 “Le misure punitive” nel diritto tributario sono riconducibili alla nozione elaborata dalla Corte EDU, a partire dal caso Engel c. Paesi Bassi del 1976. La nozione di materia penale, autonoma rispetto alle definizioni date dagli ordinamenti nazionali, è stata elaborata dalla Corte di Strasburgo, con riferimento agli art. 6 (“Equo processo”) e 7 (Nulla poena sine lege) della CEDU: in essa la Corte ha incluso, non solo le sanzioni definite come penali dagli ordinamenti nazionali aderenti alla CEDU (criterio del nomen juris), ma anche quelle che gli stessi ordinamenti definiscono “amministrative” (secondo il nomen juris), ma che, o per la loro natura afflittiva, o per la loro severità , appaiono assimilabili a quelle penali e quindi meritevoli dell’estensione ad esse dello statuto di principi e garanzie proprie delle sanzioni penali: un’operazione avviata nel 1976 dalla Corte EDU, onde evitare la c.d. truffa delle etichette, e cioè per scongiurare il rischio che gli ordinamenti nazionali aderenti alla CEDU eludessero l’applicazione dello statuto più garantistico delle sanzioni penali, etichettando come amministrativa una misura in realtà punitiva, alla luce dei criteri Engel. Criteri poi seguiti da tutta la giurisprudenza successiva (della Corte EDU, della CGUE, della Corte costituzionale e della Corte di cassazione italiane) che si è occupata delle sanzioni amministrative “punitive”[8]

L’applicazione di tali sanzioni, attesane la natura (almeno lato sensu ) “penale” deve, pertanto, rispettare la presunzione di innocenza di cui all’art. 27 Cost. e 48 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, il che, a mio avviso, implica conseguenze che dovrebbero essere adeguatamente indagate più approfonditamente.

Per quanto riguarda la mia opinione sul problema, rilevo quanto segue.

Innanzitutto, una sostanziale incoerenza tra quanto disposto dagli artt. 27 Cost. e 48 CDFUE richiamate con il dettato di cui all’art. 19 del Dlgs 18.12.1997 n. 472; se, infatti, un soggetto deve essere considerato innocente in sede penale sino a condanna definitiva, risulta profondamente discutibile la legittimità di una norma che consente l’applicazione della punizione prima di tale evento.[9]

Secondariamente, il che è certamente più rilevante dal punto di vista pratico[10], l’impossibilità di considerare adeguato al regime delle sanzioni il regime dimostrativo in materia di imposta.[11]

Al riguardo, ritengo del tutto condivisibili le conclusioni della Dottrina già menzionata:

Una questione aperta, in conclusione: una volta ricondotte le misure punitive in materia tributaria al regime delle sanzioni penali in senso convenzionale (artt. 6 e 7 CEDU), si deve anche applicare, al fine di condannare il contribuente ad una sanzione amministrativa-punitiva, il parametro probatorio interno, più favorevole e garantista dettato dal c.p.p. (art. 533 comma 1), piuttosto che quello previsto dal c.p.c. (art. 116, comma 1)? Dovrà, in altri termini, il giudice tributario, in sede di condanna, scindere lo standard probatorio minimo richiesto dall’ordinamento in punto di an e il quantum del tributo (“più probabile che non”, ex art. 116  c.p.c.) da quello massimo e quindi più garantista, richiesto in punto di an e quantum della sanzione punitiva (“oltre ogni ragionevole dubbio”, ex art. 533  c.p.p.)? Coerenza con quanto detto sin ora, in punto di completamento dello statuto unico della “materia punitiva”, imporrebbe una riposta affermativa ma attendiamo le evoluzioni della giurisprudenza.”[12]

Di nessun aiuto, per confutare il ragionamento della Dottrina sopra riportata, risulta richiamare l’art. 1 del Dlgs 31.12.1992 n. 546 che richiama l’art. 1 del codice di procedura civile. Infatti:

a)     il comma 2 di tale norma attribuisce all’applicazione del codice di rito civile natura meramente residuale “in quanto compatibile”; è ovvio che, alla luce di quanto appena esposto, molto vi sarebbe da dire in punto di “compatibilità;

b)     le norme in materia di prova trovano integrazione mediante il rinvio ai codici di diritto sostanziale; quindi, non vedo ragioni di ostcaolo.

A chi avrà voglia di leggere questa piccola provocazione il compito di condividere o dissentire!


[1] Corte di Giustizia UE 12.7.2012 n. 248/11 in One Fiscale 2023: “Il principio di neutralità fiscale osta a una sanzione consistente nel diniego del diritto a detrazione in caso di versamento tardivo dell’imposta sul valore aggiunto, ma non osta al versamento di interessi moratori, a condizione che tale sanzione rispetti il principio di proporzionalità, circostanza che spetta al giudice del rinvio accertare.”

[2] Melis: “Gli interessi tutelati” in: AAVV: “Trattato di diritto sanzionatorio tributario” a cura di Giovannini Di Martino e Marzaduri, Mi, 2016, Vol. II, pag. 1304

[3] Melis “Op. cit.” pag.1296

[4] Cfr Circ. Min Finanza 10.7.1998 n. 180/E sub art. 5 in One Fiscale 2023

[5] In tal senso: Melis: “Le sanzioni amministrative tributarie. Guida alla riforma fiscale” In Modulo 24 Contenzioso Tributario Il Sole 24 Ore 25.9.2023. La stessa Relazione alla delega di riforma risulta motivata sulla necessità di adeguare le sanzioni agli standard degli altri paesi europei. Cfr. Lodoli Santacroce: “Sanzioni tributarie che cambiano pelle” Il Sole 24 Ore 19.3.2023. Per una disamina del rapporto di proporzionalità che deve caratterizzare il regime sanzionatorio e per la sua immediata applicazione da parte del giudice nazionale in ragione della delega di funzioni statale agli organi europei cfr.: Corte Giust. UE 8.3.2022 n. 205 in One Fiscale 2023

[6] Vedasi, per tutti lo studio della Fondazione Nazionale Dottori Commercialisti 14.2.2023: Ligrani Saggese: “L’onere della prova nel processo tributario, a seguito della Legge 31 agosto 2022 n. 130”, pagg. 22 e ss.

[7] La pacifica autonomia tra avviso di accertamento e atto di irrogazione sanzioni consente pacificamente questo differente trattamento.-

[8] Così: Pazzaglia: “Le misure punitive nel diritto tributario: verso un regime comune per le sanzioni penali e amministrative?” In Il Fisco 2021, n. 12 pag. 1147 e ss. L’assunto, del resto, è confermato indirettamente dallo stesso Legislatore italiano all’art. 21 del Dlgs 10.3.2000 n. 74

[9] Ricordo, infatti, che l’art. 19 de quo, tramite il meccanismo dei rinvii, prevede il potere per l’Ufficio di recuperare in via esecutiva la sanzione già dopo la sentenza favorevole di primo grado (seppure per i due terzi).

[10] Perché di immediata applicazione senza necessitare di passaggi attraverso giudizi di costituzionalità o, discussioni in merito alla immediata (o mediata da giudizio di costituzionalità) applicazione nel diritto interno delle norme del CDFUE

[11] Certamente, almeno, per quanto concerne i principi generali sostanziali in materia di prova.

[12] Così: Pazzaglia: “Le misure punitive nel diritto tributario: verso un regime comune per le sanzioni penali e amministrative?” In Il Fisco 2021, n. 12 pag. 1152

27 ott 2023

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